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martedì 17 aprile 2012

[Portrait] Giorgio Patrizi


«Quanto di morte ci circonda e quanto tocca mutarne in vita per esistere è diamante su vetro». I versi che aprono il recitativo finale della Ragazza Carla, grande esempio di oratoria epica innestato sulla complessa struttura della poesia-racconto, mi hanno accompagnato spesso, nelle più diverse situazioni, dopo averli ascoltati dalla voce di Elio. Mi sono sempre sembrati una testimonianza perentoria di un’asprezza dell’esistenza accolta in una società consapevole, forte della propria autocoscienza. Con un ritmo che Elio scandiva quando, leggendo i propri versi, roteava la mano ad accompagnare l’onda sonora: era, quel gesto, una guida precisa all’ascolto di una poesia che diveniva esempio performativo della sperimentazione, quel compendio di stili, di codici, di linguaggi. Con quel senso del ritmo e della parola, Elio avrebbe articolato un suo peculiare «realismo», secondo prospettive sempre cruciali, scandite dalle irrinunciabili richieste di epoche incalzanti. Gli anni Cinquanta, o il realismo del vissuto; i Sessanta-Settanta e il realismo delle scritture (le voci, i linguaggi citati e montati nella narrazione in versi); gli Ottanta e i Novanta, o il realismo del ritmo e delle parole (le modulazioni jazzistiche che accompagnano figure chiave di situazioni esistenziali). Grande poesia e coscienza del proprio ruolo in una contemporaneità sgradita: per questo Pagliarani fu sempre un grande protagonista di una stagione neoavanguardistica, da cui sembra ora di moda volerlo distaccare. Quando non si capisce che sperimentare vuole dire (voleva dire per Elio) liberare il linguaggio, lottare con l’angelo.[Giorgio Patrizi]

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